domenica 20 marzo 2011

Non ho paura delle mafie fuori, ma di quelle dentro di me

Desidero con questo mio intervento evidenziare quanto la responsabilità individuale sia determinante nella formazione di una buona società, mentre la sua mancanza o insufficienza favoriscono comportamenti non virtuosi e atteggiamenti "mafiogeni" a diversi livelli.
Ritenendo che il personale sia politico, mi servirò di un evento che mi riguarda per esemplificare tale pensiero.
Alcuni anni fa - a cavallo della festa dell''Epifania - i cittadini di Potenza si ritrovarono di fronte ad un'inusuale presenza: un cumulo di piscòn', grandi massi trasportati e sistemati con l'aiuto di camion e gru in piazza Mario Pagano. L'installazione voleva sottolineare quanto la nostra superficialità, la pigrizia mentale, l'indifferenza, la rimozione, lo scarso coraggio, le omissioni quotidiane - fino a quel silenzio tanto vicino all'omertà - impediscano agli umani di coltivare la comprensione, il rispetto, la civile convivenza, la verità, la giustizia...
Sotto le pesanti pietre, un lucente nastro rosso, impietosamente compresso dai massi, simboleggiava l'energia della vita schiacciata dalla durezza d'animo della maggior parte dell'umanità, giunta al punto d'ignorare qualsiasi cosa non rientri nei ristretti ambiti dell'interesse personale o al massimo della propria cerchia familiare o del gruppo d'appartenenza sociale.
L'Opera si proponeva di sottolineare l'urgenza di riattivare le migliori qualità indispensabili al rinnovamento della società.
Non osando apertamente contestarla e non trovando valide motivazioni per farlo, venne attivata una tattica alternativa purtroppo sempre attuale soprattutto nei piccoli centri: sminuirla con l'evitamento, minimizzarla con il silenzio; distruggere tramite l'ignoramento l'impegnativa Installazione realizzata proprio all'inizio del terzo millennio: in tal modo il significato e l'intento comunicativo non ebbero la possibilità di essere compresi, ne furono anzi impediti e travisati.

Ma proprio quella reazione disturbata fino al limite della negazione e dell'offesa era la prova che l'Opera aveva colto nel segno; essa veniva respinta proprio perchè aveva toccato un punto dolente: era stato percepito qualcosa di troppo penoso, di troppo difficile da accettare e affrontare, la cattiva coscienza che alberga in ognuno di noi, la mancanza di quel "feroce" coraggio che ci spinge a cercare e riconoscere il "negativo" per potercene poi liberare, proprio come si fa con una malattia.
Il Diocumento di pietra evidenziava la responsabilità di ognuno di noi in tutto ciò che accade e quanto l'insensibilità e l'omissione equivalgano ad una precisa "complicità" con gli autori di ogni delitto.
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E intanto, senza che nessuno lo sapesse, a cento passi dalla piazza, mentre molti dei passanti mettevano bende sugli occhi per non vedere i massi che li rispecchiavano nella loro parte oscura e tappi alle orecchie per evitare di sentire lo stordente messaggio che la pietra tentava di comunicare; a cento passi dalla montagna di pietre, sotto un cumulo di materiali edili, giaceva il corpo di Elisa Claps, la sua energia vitale ormai spenta.
Nascosto nel sottotetto di uno dei principali luoghi di culto della città, privato della sua giovane vita a quel tempo già da 8 anni, esso è rimasto abbandonato nel centro stesso del capoluogo di regione, avvolto in una impenetrabile rete di coperture e misteri, nonostante le strazianti quanto dignitose richieste fatte dalla famiglia affinchè chi sapeva rompesse il silenzio.
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Ciò che è accaduto dopo il ritrovamento dei resti di Elisa e la difficoltà di giungere alla verità, non fa che confermare quanto il Documento di pietra suggeriva senza parole:
-- che siamo tutti responsabili di ciò che avviene nel corpo sociale, che tutti contribuiamo a formare
-- che con il nostro comportamento ci influenziamo reciprocamente
-- che anche se non implicati personalmente in un crimine, lo siamo comunque in ogni meschinità quotidiana, nel perseverare nell' ipocrisia e nell'insensibilità, nel non attivare una diversa, rinnovata coscienza; nel non nutrire la nostra fame di giustizia e nel non colmare la sete di verità che - sole – possono farci crescere integri e rendere più difficile il verificarsi di tali orrori.
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Otre a facilitare l'ingresso nei temuti ambiti criminali, non può forse un malessere diffuso provocare quegli squilibri che portano - anche in piccole città come la nostra- tante persone, in particolare donne e giovani – a sentirsi vuote, inadeguate, e di conseguenza a "stordirsi", a farsi del male, fino a togliersi la vita?
E quel disagio non potrebbe essere favorito da un in sufficiente ascolto, dalle piccole e grandi ingiustizie subite, dal sentirsi emarginati, quindi più inclini a infrangere le leggi sociali e naturali?

Il corpo sociale troverebbe giovamento e occasione di crescita nel riflettere sui problemi appena accennati; invece declinare le proprie responsabilità, addebitando il male a un solo "colpevole", sarebbe più produttivo considerare che ogni azione negativa - risaputa o meno - ha effetti potenti nel personale e nel sociale e ricordare che nulla di ciò che facciamo - anche e soprattutto le piccole omissioni e ingenerosità quotidiane - è privo di conseguenze?

Non entro nel merito dei "poteri" occulti e "mafiosi"che influiscono sulla società: ritengo che non potrebbero farlo se ognuno di noi, come libera persona e come cittadino cosciente, rifiutasse di aderire, anche nel quotidiano, a qualsiasi modalità dubbia o ingiusta; se trovasse il coraggio di respingere le azioni non etiche o meschine sistematicamente. Se desse un'importanza primaria alla qualità del fattore umano in ogni occasione e nelle relazioni con gli altri esseri e con la Natura.

Teri Volini







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