martedì 12 maggio 2020

La cura con il plasma iperimmune: il paradosso di chi guarisce e di chi scredita




 Prof. Giuseppe De Donno (disegno)


Sembra oramai diventato usuale il procedimento - anacronistico e spudorato - di tipo censorio, riduttivo e falsificatore della realtà, a cui il Corona virus – suo malgrado e a dispetto dell’auspicato miglioramento dei rapporti e dell’affermarsi di una nuova etica – sembra invece offrire un osceno vigore. 

Sì, proprio nel 3° millennio e durante una pandemia mondiale, succede che
– mettendo da parte la capacità di scegliere quale delle tante informazioni ricevute merita la priorità – passi in secondo piano la Notizia straordinaria di una terapia guaritrice: si tenta invece in diversi modi e a più livelli di denigrarla e/o di ostacolarne la diffusione, sia sui social che sul mainstream.

Ci riferiamo alla Terapia del Plasma, attivata con successo – salvando vite umane – in Lombardia, dai proff.  De Donno e Franchini, rispettivamente direttore del reparto di pneumologia, ed ematologo e primario del centro trasfusioni dell’ospedale Poma di Mantova, nonché dal policlinico San Matteo di Pavia, in protocollo sperimentale.

Plasma iperimmune



Il plasma iperimmune è destinato a pazienti che non hanno insufficienza respiratoria per più di 10 giorni. Nelle parole di  Giuseppe De Donno: Oggi a Mantova abbiamo il maggior numero di pazienti nell’ambito di questo protocollo e nella nostra sperimentazione non abbiamo avuto alcun decesso tra 48 pazienti con polmoniti.

Il primario lamenta le inspiegabili richieste di indagini dei Nas e la diffusione
di grosse falsità sulla plasmaterapia, sull’efficacia, sui costi, sulla sicurezza, affermando sdegnato: Non abbiamo avuto reazioni avverse e gli indici d’infiammazione si sono ridotti, per cui oggi quei 48 pazienti sono tutti a casa con

le loro famiglie.

Per quanto riguarda i costi della terapia, calcola che, per salvare una vita, occorrano 82 euro: non il costo del plasma, che viene generosamente donato da ex malati ai malati, ma con tutti gli elementi, dalla sacca, al personale, alla macchina e ai reagenti...
Se sono tanti per salvare una vita non ho capito nulla della medicina, afferma amareggiato. 



Ignoramento versus riconoscimento internazionale 


Il professore ha poi commentato l’interesse internazionale su questa sperimentazione: Mi stanno chiamando tutti, l’alto funzionario dell’Onu, il consigliere del ministro della Salute americana, il console del Messico, abbiamo avuto proposte di lavoro nei centri di ricerca. Ogni volta che mi chiama un istituto straniero e non mi chiama mai il nostro Istituto superiore di sanità o non sento il nostro ministro della Salute, sono grandi dolori per un ricercatore come me, medico ospedaliero che si è speso in prima fila nell’emergenza Covid.


De Donno sottolinea la sua amarezza nel constatare che, a fronte dell’apprezzamento dimostratogli a livello internazionale e delle prestigiose offerte di lavoro ricevute, non corrisponde la minima attenzione degli Istituti italiani, e se ne rammarica, evidenziando il mancato riconoscimento di una chance importante per il nostro paese innanzitutto, a prescindere dal risultato finale; di una sperimentazione terapeutica che può cambiare la sorte dell’epidemia e dei malati...



False dichiarazioni e disparità di trattamento 


Chiarisce poi le dichiarazioni del virologo Burioni sui costi alti e le difficoltà di reperimento del plasma, attestando quanto sia grave – da parte di questi – mettere in dubbio la sicurezza del plasma, insinuando che possa trasmettere malattie, e implicitamente quella della rete trasfusionale italiana, immettendo una grossa ombra sul nostro sistema trasfusionale, che è uno dei più sicuri al mondo.
In una delle video interviste, (RadioRadio),
De Donno non si esime dal rispondere con chiarezza disarmante, e anche coraggiosa, visti i frangenti: richiesto dall’intervistatore sul motivo per cui gli istituti preposti all’informazione del settore – Comitato tecnico scientifico, Istituto superiore di sanità – abbiano chiesto conto di ciò che lui sta facendo, risponde di essere curioso di sapere se i Nas stiano investigando sui farmaci usati off-label, privi di prescrizioni accertate e di indicazioni per le polmoniti da coronavirus – interleuchina 6, eparina, clorochina, idrossiclorochina etc. – e quanti abbiano richiesto il consenso ai pazienti per la somministrazione: Noi abbiamo chiesto il consenso a tutti i pazienti, c'è una grandissima differenza e questo dovranno spiegarlo.



Ospedale Carlo Poma Mantova 



L’avversione e il discredito
 
Alla domanda: Perché, se non ci sono controindicazioni, se i pazienti migliorano,
e i costi non sono alti, c'è questa avversione?
De Donno risponde: I motivi sono molteplici: la proposta terapeutica viene da una piccola città, da un piccolo ospedale non molto famoso, ma con delle grandissime professionalità, che hanno ricevuto diverse offerte di lavoro altrove, ma hanno deciso di rimanere.
Inoltre: Il mondo universitario non accetta che da un piccolo ospedale di provincia si possa produrre una terapia che può essere un modello mondiale.
Il mondo accademico è chiuso in se stesso e fa fatica ad accettare che un ospedaliere possa produrre qualcosa che non provenga da loro.


Arriva poi al cuore del problema: Il plasma non è sponsorizzato: è una terapia democratica che tutti dovrebbero sposare. È l'unico strumento magico che può agire contro il coronavirus. È una risorsa nemmeno così scarsa, basta organizzarsi bene.


Un virus mutante 



Mentre il 6 maggio si chiude con ottimi risultati la fase sperimentale a Mantova
e a Pavia, nella
vicenda s’inserisce Rezza, dir. del Dipartimento Malattie Infettive, Istituto superiore di sanità, che l’8 Maggio dichiara a TPI: La terapia al plasma? Funziona, ma ovviamente non sostituisce i farmaci antivirali né tanto meno un vaccino che speriamo possa arrivare il più presto possibile.
E nella stessa intervista:
Ben venga la terapia al plasma, se funziona, ben venga il vaccino e ben vengano altri tipi di trattamenti. A Pavia stanno dosando gli anticorpi dei donatori.
Di Mantova nessuna menzione.


Qualche giorno prima delle altalenanti affermazioni di Rezza, il prof. De Donno, riferendosi alle aspettative di qualcuno per produrre subito il plasma sintetizzandolo, aveva sottolineato, in una videointervista di RadioRadio:  Qualora ciò che si andrà sintetizzare fosse conforme alle stesse caratteristiche di sicurezza ed efficacia (del plasma) io dirò bravi!


Intanto gli preme sottolineare la priorità di avere gli strumenti per salvare le persone, siano i ventilatori i filtri il plasma; di non avere pregiudizi su nulla, di non essere prevenuto sui vaccini, però con delle perplessità, tra cui lo stare ancora aspettando i vaccino contro l'Hiv e l'epatite

Il coronavirus non è statico, è mutante.Lo è anche

quello dell'influenza, e ogni anno si  deve

produrre un nuovo vaccino perché il virus cambia.




Tarro controcorrente: serve una cura più che un vaccino


Non tutti i professori sono sulle stesse posizioni: già il 15 Aprile, in un’intervista a Business Insider, il prof. Giulio Tarro  ̶  virologo, allievo prediletto di Sabin (vaccino contro la poliomielite), primario emerito dell’ospedale Cotugno di Napoli, candidato al Nobel per la medicina 2015  ̶  dall’alto della sua fama internazionale, aveva fatto delle affermazioni sapienti e poco conformi alla linea generale: Il Coronavirus non è Ebola, il vaccino non serve... e : Inutile attendere un vaccino contro il Coronavirus se questo ha come sembra una variante cinese e una padana e sarà dunque complicato averne uno che funziona in entrambi i casi, esattamente come avviene per i vaccini antinfluenzali che non coprono tutto....

Insomma, secondo il prof. Tarro, più che un vaccino, ora serve la cura.


In un’intervista di Telese a Tarro su TPI, 20 aprile, il professore asserisce che c’è un grave problema di analisi: noi accademici siamo tutti in attesa di questo benedetto vaccino. Bisogna farsi un’altra domanda: il vaccino che cos’è? È un anticorpo. E noi abbiamo già un vaccino naturale negli anticorpi di chi non si è ammalato, malgrado il virus, e di chi ha contratto il virus, ma è guarito.

Bisogna usare il plasma dei guariti. L’infusione di 200 millilitri di plasma è un aiuto enorme per qualsiasi malato. Si chiama plasmaferesi, e non l’ho certo inventata io. Ho sentito dire che in via sperimentale questo tipo di cure sono già in applicazione
a Pavia, a Mantova, a Salerno.


Una terapia democratica

Nelle video interviste si sente che De Donno è molto fiero del fatto che questa cura sia democratica: il popolo che dona al popolo!

Quando l’intervistatore - osservando che, se qualcosa non è prodotto dalle case farmaceutiche, si va con i piedi di piombo –  gli chiede: se il plasma fosse stato sintetizzato in laboratorio, ci sarebbero state tutte queste polemiche? riceve da De Donno un secco: No! seguito dalla riaffermazione che in ogni caso adesso a lui interessa guarire tutti i pazienti possibili, per cui la Cura è prioritaria







Detrattori non ad hoc e ciliegine sulla torta

A fronte dei diversi, rozzi tentativi di alcuni membri della ufficialità medica professorale – non sprovvista di una tracotanza avvalorata dalla onnipresenza sui media – di nascondere, diminuire o distorcere il frutto del suo lavoro, De Donno aveva dovuto anche affrontare una polemica con il virologo Burioni, che il 29 aprile aveva pubblicato un video, in cui commentava la plasmoterapia:
 è qualcosa di serio e già utilizzato.
E: Non è nulla di nuovo, perché in passato anche altre malattie sono state trattate col plasma.
Precisava che: già in Cina si è sperimentata.  Che per lui: è una prospettiva interessante, ma d’emergenza. Non può essere utilizzata ad ampio spettro.. Non mancando di raccomandare: tutte le necessarie precauzioni e i protocolli  da rispettare.
Infine – come ciliegina sulla torta – l’imp(r)udente affermazione che: (la cura) diventa interessantissima nel momento in cui stabiliremo con certezza che utilizzare i sieri dei guariti fa bene, perché avremo aperta una porta eccezionale per una terapia modernissima: un siero artificiale prodotto in laboratorio.
Ma chi l’ha aperta, utilizzandola per il bene dei malati, quella porta?E chi ne vuole prendere il merito?


Io, piccolo pneumologo di periferia


Di fronte a tanti sfacciati travisamenti e tentativi di diminuzione, punzecchiature e appropriazioni indebite, la risposta categorica di De Donno su Facebook: Il signor scienziato, che aveva detto che il coronavirus non sarebbe mai arrivato in Italia, si è accorto in ritardo del plasma iperimmune.

A proposito dei dubbi sulla sicurezza: Forse il prof. non sa cosa è il test  di neutralizzazione. Forse non conosce le metodiche di controllo del plasma. Visto che noi abbiamo il supporto di AVIS, glielo perdono. Io piccolo pneumologo di periferia. Io che non sono mai stato invitato da Fazio o da Vespa. Ora, ci andrà lui a parlare di plasma iperimmune. Ed io e Franchini alzeremo le spalle, perché…. importante è salvare vite! Buona vita, quindi, prof. Burioni. Le abbiamo dato modo di discutere un altro po’. I miei pazienti ringraziano.

Infine una postilla, che suona come una denuncia. De Donno: vedo che si sta già arrovellando su come fare per trasformare una donazione democratica e gratuita in una ‘cosa’ sintetizzata da una casa farmaceutica.


Il giusto riconoscimento

In un’altra video intervista a De Donno: un domani le immunoglobuline si potranno sintetizzare, ma ora io devo avere in mano le armi per salvare i pazienti; però siccome queste vengono proposte dopo il protocollo del plasma, bisognerebbe avere l'umiltà di gratificarci perché abbiamo dato la possibilità di amplificare in laboratorio la nostra scoperta: ma questo coraggio nessuno lo ha, anzi per denigrarci dicono che è roba vecchia, risalente alla spagnola. Intanto sono stati in grado di propinarci solo interleuchina-6 eparina etc. Questo per dire l'ambiente in cui lavoriamo ‘con serenità’.


Il terrore negli occhi

Quando si lavora tutta la giornata, con un paziente che ti sbuffa in faccia il coronavirus e gli leggi il terrore negli occhi, come mi è successo oggi, star dietro
a questi professori è inaccettabile. Dal punto di vista scientifico mi sento minacciato: da Fazio hanno l'obbligo di non nominare Mantova, ma molti hanno criticato quella trasmissione, che non ha fatto una buona informazione rispetto al paese. Non si vuol far passare il messaggio.

Tuttavia,  spiega De Donno, sono moltissimi, gli ospedali che hanno preso esempio dalla sperimentazione: oltre a  Pavia, Crema e Cremona e  Milano, la Valle d’Aosta e il Piemonte, la Toscana, la Puglia, la Calabria



Ospedale S.Matteo, Pavia 



Un’importante rivista scientifica sottometterà il nostro lavoro, analizzerà i nostri risultati, ci dirà se il lavoro che abbiamo compiuto è un lavoro degno di essere pubblicato.



Al Poma di Mantova e al policlinico San Matteo di Pavia si stanno approntando le pubblicazioni scientifiche sulla terapia plasmica con la documentazione completa relativa alla sperimentazione: presto sapremo se verrà riconosciuta la validità di un lavoro tanto prezioso, auspicando che non ci siano interferenze sleali o tentativi di boicottaggio.









articolo/ricerca della prof. ssa Volini, pubblicato su Talenti Lucani il 10 - 5 - 2020 
link:https://www.talentilucani.it/il-paradosso-di-chi-guarisce-e-di-chi-scredita/








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