domenica 28 gennaio 2018

MADONNE LIGNEE - da Madonne e Streghe a Castelmezzano



MADONNE LIGNEE
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estrapolazione dalla ricerca di Teri Volini 
Madonne e Streghe a Castelmezzano,  parte prima










© Teri Volini 
è permessa la riproduzione, citando la fonte e l'autrice 


Madonne e Streghe a Castelmezzano - Parte prima
Madonne lignee e divinità arboree
 di Teri Volini


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FINESTRA 1
Le lignee icone delle Madonne di un paesino della Basilicata sono il filo verde che ci riporta alle ancestrali divinità della Terra madre nel tempo in cui veniva onorata e rispettata come corpo vivente, e all'Albero, esemplare simbolo di questa venerazione ed esso stesso axis mundi, potente archetipo del collegamento tra cielo e terra.
La ricerca arriva – con uno straordinario viaggio nello spazio e nel tempo - fino al cuore del Mediterraneo: a Creta, sede dell’antichissima, fiorente e pacifica civiltà minoica matricentrata.
Rileviamo così le sorprendenti somiglianze tra la sacra icona più amata di Castelmezzano – distrutta nel terzo millennio da un dissennato restauro - con le fiere signore cretesi, che ancora si mostrano, dall'alto dei loro ben portati millenni, negli splendidi affreschi giunti fino a noi dal neolitico ...
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La Madonna dell’Olmo

A Castelmezzano, nella Chiesa Madre, il cui antico e suggestivo nome era Santa Maria la Stella e Matutina, si trova la statua di Santa Maria dell’Olmo. Fino agli anni sessanta la Madre divina dava il Suo nome all’antistante piazza principale del paesino lucano, essendone protettrice e custode;  poi la denominazione venne cambiata in quella attuale di piazza Caizzo, un soldato del luogo  ucciso durante la seconda guerra mondiale: segnale indicativo di scarso rispetto per la Madonna,  disaffezione dal sacro e allontanamento dalle tradizioni devozionali.  Assisa in trono, la Vergine sorregge con il braccio sinistro il Bambino e con la mano destra una sfera che rappresenta il mondo; il suo capo è arricchito da lunghi capelli riccioluti; le sue vesti, ricche di pieghe, Le conferiscono la maestà, nobiltà e bellezza di una regina.
Collocata piuttosto in alto, su una mensola dell'altare in ferro battuto risalente al 1700, la statua è scolpita nel legno, ed è assimilata all’Olmo, pianta sacra di rilevante importanza in tutta l’antichità. Ce n’erano due begli esemplari, ma - sempre nella metà del secolo scorso - “le antichissime frondose sacre piante” furono sradicate per allargare la piazza.
Il volto della Madonna dell’Olmo è austero, ma non accigliato: lo sguardo sereno, l’espressione autorevole ma prossima al sorriso; il capo ben sollevato, ma senza supponenza; un naso “forte”, una bocca severa: nulla di più lontano dalle languide “madonnine” che certa iconografia ci suggerisce:  bianche, quasi esangui, con lineamenti delicati, espressione trasognata e testa china, occhi bassi, spesso piangenti o enfaticamente addolorati …

Emana dalla Madonna dell’Olmo un senso di grande dignità e forza interiore: una Donna speciale, presente a sé stessa, impregnata di sacralità eppure umanissima e amorevole, più vicina all'immagine reale umana, che assecondante un’idealizzazione astratta ed “esemplare”.


La Madonna della Lira

Nella stessa chiesa è presente un’altra sacra icona: oggi per sicurezza in una teca trasparente, precedentemente collocata, sotto un arco, in prossimità dell'altare maggiore, nello spessore del muro. Presenta delle caratteristiche simili alla prima: è lignea, e rispetto all’altra un po’ più “massiccia”, come evidenziato anche dalla posizione seduta e dai pesanti vestiti che indossa. Anch'essa si allontana dallo stereotipo comune,  è molto vicina a una solida donna “contadina”, ben piantata sul suo scranno. Ciò non toglie che nell’insieme emani grande nobiltà e regalità, qualità non intese come attributi di classe ma piuttosto come speciali caratteristiche della persona.
Notiamone alcuni particolari: i capelli, le mani, il vestito e infine il trono su cui è seduta: ha la forma di una lira ! Ben disegnata, in legno dorato decorato, e con tanto di ricciolo superiore. Anche questa Madonna ha in braccio il Bambino, e, come l’altra, non mostra un atteggiamento di ossequiosa umiltà, quanto piuttosto di fierezza, di grande autonomia e autorevolezza: tutto in Lei rivela una forte “personalità”.

In entrambi i casi, queste sacre icone sono esenti da quanto prescritto dallo stereotipo comune, storicamente imposto dalla committenza (ecclesiastica, nobile o borghese che fosse) che dettava il modello e imponeva il gusto, proiettando in esso le caratteristiche a sé stessa più congeniali o strumentali e ordinando all'artista o artigiano di turno di renderle visibili, concentrate nell’immagine perché fossero implicitamente “esemplari”del modello di femminilità che doveva essere rispettato e diffuso.


 -------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------Finestra 2
Antenne del divino

È significativo notare come gli artisti o artigiani che realizzavano le statue, pur avendo a disposizione altri materiali più resistenti - la pietra, il marmo, i metalli - abbiano generalmente preferito scolpire in materiali lignei le icone di riferimento religioso, nonostante la maggiore facilità al deterioramento. Ne comprenderemo il motivo andando molto indietro nel tempo: fin dai primordi, è nel legno che veniva scolpite le icone delle ancestrali divinità. In tempi ancora più remoti, l'Albero stesso era assimilato alla divinità: affondando le sue radici nella Terra, ed effondendo la sua chioma nell’Aria, creava un collegamento tra i mondi che di certo i nostri progenitori comprendevano, apprezzavano e concettualizzavano, esprimendosi poi in miti e simbologie archetipiche assai potenti. Le Madonne lignee,“fatte” da un albero, e collegate ad esso, sono antenne del divino, potenti collegamenti tra cielo e terra.

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Tale caratteristica accompagna anche l’altra sacra icona cui accenneremo, la Madonna dell’Ascensione. Mi tocca qui scrivere al passato, a causa dei cambiamenti intervenuti dal tempo della prima stesura della ricerca (fine degli anni ’90)
L'Icona lignea si trovava in una chiesetta collocata in mezzo alle rocce. Subito dopo essere usciti dalla galleria scavata nelle Arm, le rocce dolomitiche che caratterizzano il luogo e che dava accesso a Castelmezzano, vi si arrivava salendo per un sentiero lastricato.
Anticamente questa chiesa veniva usata per seppellire i defunti nella parte sottostante, prima che venisse costruito fuori dal paese l'attuale cimitero. Per entrarvi, bisogna chiedere la chiave in paese ad una famiglia che ne aveva  da tempo “la cura”, cioè la responsabilità e la devozione e su cui c’è una storia molto particolare (v.ricerca).


La Madonna dell’Ascensione era in verità una Madonnina, piccola in altezza, quasi totalmente ricoperta da un mantello di raso azzurro ricamato in oro. Nonostante la bellezza e le ottime intenzioni devozionali e affettive di chi lo aveva cucito e ricamato,  il mantello copriva la nascosta bellezza dell’immagine, celandola quasi del tutto.
Del resto, la Madonna non ne avrebbe avuto alcun bisogno, perché aveva già dipinto direttamente sul suo corpo un abito di colore rosso scuro con schematici punti o fiori 
color crema. Lo stesso valeva per il Bambino che aveva in braccio.




La leggenda voleva che la statua della Madonna fosse stata trovata da due pescatori d’un mare lontano, cui la Madonna indicò dove portarla: arrivati a Castelmezzano la statua si appesantì indicando la Sua volontà di rimanervi. Fu così costruita la Cappella, dove venne collocata la statua. La mattina seguente, i fedeli trovarono ai piedi della Madonna le statue di due marinaretti in preghiera, rassomiglianti ai due pescatori che, assolto il loro compito, erano tornati al loro paese.
Questa leggenda, nella sua apparente ingenuità, aveva il merito di comunicare la provenienza remota della statua, dandole una singolare peculiarità di nomadismo, e l'attribuzione di Viaggiante, Pellegrina, o forse Migrante, al pari delle genti che l’avrebbero portata con loro.


Viaggi spazio temporali -

Ritenendo la generica denominazione di Madonna Bizantina insufficiente ad accompagnare la storia della dinamica icona e date le qualità che la rendevano atipica, osavamo nuove, più suggestive ipotesi: d’altronde l’Icona stessa sembrava proporle.

L’accostamento più interessante? Quello con le donne dei meravigliosi affreschi del palazzo reale di Knossos: le fiere cretesi, nelle loro elegantissime mise; le mirabili donne minoiche, signore, raffinate nel vestire come nell’ornarsi.

 


Gli affreschi ci mostrano capelli scuri come la pece, acconciature complesse, incrostate di fili di perle e di conchiglie; occhi grandi, truccati senza risparmio, contornati da una spessa linea nera, come nel caso della cosiddetta Parisienne

Quelle donne sono comunemente definite le Signore in blu, immerse in un intenso sfondo azzurro intenso, mentre i corpetti con bolerino, maniche gonfie e corte, decorate con un gallone a piccole onde blu, sono rossi, finemente ricamati, e mettono in piena evidenza i seni, che le cretesi usavano portare scoperti.





         
Tornando alla nostra Madonnina, ne ammiriamo il vestito rosso con piccoli decori, e il mantello azzurro, sugli omeri suggestivamente acconciato come un bolerino.
Ai lati del capo delle eleganti signore, si fanno notare dei lunghi, scuri, densi riccioli serpentini: ebbene, anche i capelli della Madonnina dell’Ascensione, scuri e densi, sono modellati con grande cura, dividendosi lateralmente in due pesanti riccioli a tire-bouchon, inanellati, serpentini...




Da Creta, sede dell’antichissima civiltà minoica, matricentrata e pacifica,  torniamo a Castelmezzano: siamo alla fine degli anni '90, nella piccola chiesetta tra le rocce, e la Madonnina è ancora quella che tantissime generazioni hanno potuto venerare e onorare, portandoLa in processione e chiedendoLe protezione e conforto.

Ebbene, essa non esiste più, poiché un recente, invasivo restauro ha completamente snaturato l'icona lignea: essendo stata scoperta, nel corso del “ripristino conservativo”, la presenza di un'altra, più antica immagine, sotto quella in cui per secoli si erano rispecchiati i fedeli - uomini donne e bambini di generazioni e generazioni.
La Madonnina è stata di fatto distrutta e sostituita da una copia, fra l’altro malfatta: basti osservare l’asimmetria tra i due riccioli. In una “cultura” schematizzata e ostinatamente funzionale, i rigidi dettami del restauro hanno surclassato i comandamenti  del cuore e quelli della pietas popolare, non esitando a eseguire quanto dettava il protocollo, e non ciò che era importante per il culto secolare degli abitanti e che il rispetto per l’icona in sé esigeva.



Ora in processione viene portata la copia difettosa della Madonnina cancellata, mentre l'icona “recuperata” dal restauro si trova in una nicchia protetta della chiesa Madre, in attesa dei visitatori che nulla sanno della  vicenda e della dissacrazione.


                                                   


Finestra 3 - 
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L’Archeomitologia è stata fondata nel 20° secolo dalla studiosa e archeologa dott.ssa Marija Gimbutas, che, nell’indagare sul passato più ancestrale, non solo ha portato la ricerca archeologica a splendidi quanto inattesi risultati grazie ai suoi preziosi reperti con relativa classificazione e studio peculiare, ma si è accreditata con tutto ciò che nella cultura popolare si palesa in Mitologia, Cosmogonia, Leggende e Folklore, con lo studio comparato fra mitologie “non scritte”, tradizioni orali e manifestazioni magico-religiose: il tutto nell’interdisciplinarità della ricerca. Se affiancata dall’antropologia, si parla  “Archeoantropomitologia”,  che studia le mitologie arcaiche attraverso il sistema sopravvissuto  - di opinioni, credenze, superstizioni, modi di vivere - di tante ancestrali culture, le cui tracce si cerca di ritrovare.
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Estrapolazione  dalla ricerca differenziata Madonne e Streghe a Castelmezzano,  della prof.ssa  Teresa Volini, detta Teri,  ricercatrice mito archeologica  



© Teri Volini 
è permessa la riproduzione, citando la fonte e l'autrice 


sabato 20 gennaio 2018

L'addolcente malva - L’angolo delle erbe della Strega Tegiumaro

L’angolo delle erbe 

                        della Strega Tegiumaro

Articolo pubblicato su  GLB  di  gennaio 2018 

Per i lettori distratti: il termine Strega è ovviamente da intendere nel suo significato originario di conoscitrice di erbe, raccoglitrice, esperta di semplici preparati, e molto, molto di più … Verrà in seguito pubblicata un’estrapolazione dalla ricerca sul tema


L'addolcente malva



Tra le erbe  da non trascurare nel nostro  herbal case, e da portare  dappertutto, c’è sicuramente la malva, per le sue qualità emollienti, lenitive, anti-infiammatorie, leggermente lassative ed espettoranti.

Sia che parliamo della malva alcea o di quella silvestre, portatela sempre con voi in piccole bustine autopreparate: sarà   una panacea,  in caso di mal di stomaco o mal di pancia, innanzitutto. 






Se ne  raccolgono  le foglie e i fiori da maggio/giugno a settembre, sempre in luoghi puliti e incontaminati, mi raccomando, con grande attenzione sia riguardo al terreno che all’aria e all’acqua  che irrora i terreni: tra concimi chimici, diserbanti ed estrazioni petrolifere,  il rischio di contaminazione è grande! 
Dopo aver seccato il raccolto all’ombra, si conservano in sacchetti di carta o di tela, tipo quelli per il pane.

In caso di bronchiti e catarri, l’infuso  allevierà  la tosse e l’espettorazione, e sarà  prezioso emolliente per la gola e per la bocca in caso di stomatiti, afte, ascessi dentari, senza parlare dei clisteri per il lavaggio intestinale e vaginale, dagli effetti rinfrescanti e sedativi. 
Al pari della salvia, la malva è molto  utile  per l’igiene della bocca, strofinando denti e gengive fragili, e per lenire le palpebre irritate.




L’infuso, preparato con pochi grammi di fiori e foglie secche in una tazza d’acqua bollente, e lasciato riposare un pochino,  oltre  che per l’uso interno, va bene per la pelle secca e arrossata e i pruriti, grazie alle proprietà idratanti e ammorbidenti. 
Anche le radici pestate  offre la malva, per  curare  foruncoli e paterecci: ma attenzione a raccoglierne poche, per non rovinare la pianta!

Le foglie della malva si ritrovano anche in cucina, cotte o crude,   nelle  insalate, con ottimi effetti per la stitichezza cronica.
Quante virtù sono racchiuse in una pianta così comune e quanta bellezza in quei fiori dalla tinta così delicata: color malva, appunto!


Teri Volini  
Casa delle Erbe di Potenza e Castelmezzano






lunedì 8 gennaio 2018

Cibo e malattie: per evitare il cancro cominciamo dall’alimentazione






 Articolo pubblicato su GLB, dicembre   2017




               



Cibo e malattie

Oggi si comincia ad accettare che il cancro - come altre gravi patologie - sia favorito da uno stile di vita anti-fisiologico, oltre che dai potenti inquinanti da cui l’ambiente è violentato. 
Sotto accusa il cibo acidificante: le ricerche dello scienziato Colin Campbell, con il suo sconvolgente The China Study, fugano ogni dubbio, fornendo le prove scientifiche di quanto peraltro è stato più volte affermato da eminenti e coraggiosi medici, che però sono stati messi a tacere o addirittura esautorati.

Campbell conferma “la strategia alimentare come la maggior priorità per mantenere la salute e prevenire e addirittura invertire la malattia”, insistendo sulla capacità dei cibi vegetali integrali e carboidrati di migliorare decisamente lo stato di salute. Nella pubblicazione, che ha fatto il giro del mondo, il prof. Campbell porta anche le prove delle commistioni tra grandi multinazionali del cibo e dei farmaci e il sistema medico e politico-amministrativo, a riprova dei forti interessi che da decenni impediscono al pubblico di conoscere la realtà dei fatti, in modo da poter attivare dei cambiamenti salvifici.

Il cane che si morde la coda
Dovrebbe essere scontato che le malattie, più o meno gravi, derivino da cattiva alimentazione, dal respirare l’aria non sana e da stili di vita sbagliati
(stress, scarso riposo, fattori psicologici ed affettivi, dispiaceri, eccesso di lavoro, inattività fisica etc.). I nostri vecchi lo sapevano bene, noi invece ci siamo fatti manipolare ben bene, e nemmeno abbiamo potuto contare sull’aiuto degli addetti alla salute pubblica, perché anch’essi subivano la stessa sorte. Su ammissione degli stessi medici, all’università nemmeno si studia, la scienza della nutrizione!
Osserviamo, nella nostra quotidianità, due dati di base: il cibo - che ci coinvolge per 365 giorni con l’ingestione - e l’eccesso - di alimenti acidificanti, e l’inattività fisica; in entrambi i casi si ha una cattiva ossigenazione delle cellule, che a sua volta determina un ambiente acido.

Il fatto è che le sostanze acide che ingeriamo o respiriamo ci privano dell’ossigeno, mentre quelle alcaline lo attirano. E oggi ancora si esita su questo! Eppure tanti medici e ricercatori ci hanno lavorato, pubblicando le loro ricerche fin dall’inizio del secolo scorso; nel 1931 lo scienziato tedesco Otto H. Warburg dichiarava che: “privando una cellula del 35% del suo ossigeno per 48 ore è possibile che si converta in un cancro”, e “Tutte le cellule normali, hanno il bisogno assoluto di ossigeno, ma le cellule tumorali possono vivere senza ossigeno”.
“I tessuti tumorali sono acidi, mentre i tessuti sani sono alcalini.” 


Nella sua opera “Il metabolismo dei tumori,” mostrava che tutte le forme di cancro sono caratterizzate da due condizioni fondamentali: acidosi del sangue (acido) e ipossia (mancanza di ossigeno). Warburg scoprì che le cellule tumorali sono anaerobiche (non respirano ossigeno) e non possono sopravvivere in presenza di alti livelli di ossigeno. Le cellule tumorali possono sopravvivere in un ambiente acido, ricco di glucosio e privo di ossigeno

Cibi acidificanti

Il risultato acidificante o alcalinizzante dell’ingestione dei vari cibi viene misurato con una scala chiamata PH, i cui valori vanno da 0 a 14, al valore 7 corrisponde un pH neutro, il valore che le cellule dovrebbero avere per funzionare bene (un po’ più di 7)). 

Tra gli alimenti che acidificano il corpo, primeggia lo zucchero raffinato e tutti i suoi sottoprodotti (pH molto acido, 2,1);
la carne e tutti i prodotti di origine animale (latte e formaggi, ricotta, yogurt, ecc);
sale raffinato, farina raffinata e tutti i suoi derivati (pasta, torte, biscotti, ecc);
pane (la maggior parte contiene grassi saturi, margarina, sale, zucchero e conservanti);
lieviti; grassi idrogenati;  antibioticimedicine in generale;
caffeina (caffè, tè nero, cioccolato); alcool;  tabacco, droghe;
tutti gli alimenti manipolati, in scatola, con conservanti, coloranti, aromi, stabilizzanti; bibite, edulcoranti, etc.

Questi cibi anti-fisiologici, molto vicini a quel cibo spazzatura che all’industria alimentare fa comodo produrre, vengono consumati almeno 3 volte al giorno, per tutto l’anno: e qui non è stata neanche considerata la loro scarsa qualità, che peggiora ulteriormente le cose, considerate le modalità innominabili di coltivazione e di allevamento del bestiame, glifosati, pesticidi, concimi chimici, OGM e i terreni stessi dove avvengono le coltivazioni …


                                 
   
Cibi alcalinizzanti

Tutte le verdure crude, che producono ossigeno; i frutti, alcuni semi, come le mandorle, sono fortemente alcalini; i cereali integrali; l’unico cereale alcalinizzante è il miglio, tutti gli altri sono leggermente acidi, ma è bene consumarne per la necessaria percentuale di acidità della dieta.Preferire i cibi crudi a quelli cotti.
I cereali vanno consumati cotti. Il miele è alcalinizzante, la clorofilla è fortemente alcalina, da qualsiasi pianta, in particolare aloe vera, aloe arborescens etc.
L’acqua buona  è molto importante, l'aria buona imprescindibile per la produzione di ossigeno.
L’ideale è dunque che l’alimentazione sia in prevalenza alcalina, eliminando i prodotti più nocivi. Se si ha il cancro il consiglio è quello di alcalinizzare il più possibile, ricordando che la malattia non si contrae o eredita, mentre si “ereditano” le abitudini alimentari e lo stile di vita.
Il movimento è indispensabile: ossigena tutto il corpo, mentre uno stile di vita sedentario lo spegne.  

Prof.ssa Teri Volini, artista biofila


martedì 2 gennaio 2018

Casa delle Erbe di Potenza - Corrispondenza con Case delle Erbe Capracotta

 Casa delle Erbe di Potenza - Corrispondenza con Case delle Erbe  di Capracotta: Antonio D'Andrea