Articolo
-intervista di Marino Faggella Teri Volini
su rivista semestrale Il Capricorno - uscita n. 14"
su rivista semestrale Il Capricorno - uscita n. 14"
L’arte come rivelazione
L’arte come rivelazione (Intervista con Teri Volini)
di Marino Faggella
Il sogno di Fanny dal ciclo “La Montagna Stregata”
Nota biografica
Teri Volini, artista impegnata in una ricerca che
attualmente perdura, ha esposto in pittura dalla metà degli anni ’80 le magiche
suggestioni de La Montagna Stregata ispirata alla sua terra di
origine, la Basilicata e le dolomiti lucane di Castelmezzano-Pietrapertosa,
seguita da altri importanti cicli di opere, presenti in oltre 90 mostre
personali in sedi regionali, nazionali (tra cui Milano, dove ha uno studio d’arte
e un’esposizione permanente delle sue opere) ed estere con notevoli riscontri
di critica e di pubblico.
Studiosa di culture, lingue e letterature straniere ha
soggiornato a lungo in Francia, a Grenoble, Lione e Parigi, dove ha seguito
corsi di civiltà, arte e teatro alla Sorbona, laureandosi successivamente con
una tesi sul teatro di Jean Anouilh. Dalla fine degli anni ’90, utilizzando
diversi linguaggi espressivi (pittura, scultura, poesia, manifesti d’artista,
conferenze e incontri con i giovani) con opere capaci di instaurare un nuovo
rapporto con la Natura e l’Umanità, l’artista si è consacrata maggiormente
all’impegno civile e ambientale, proponendosi di attivare un nuovo rispetto per
il pianeta, percepito non più come un oggetto da sfruttare o contaminare, ma
come Terra Madre nutrice di tutti i viventi.
In stretta connessione con la filosofia di Josef Beuys, Teri
ha fiducia in un’arte estesa a tutti gli aspetti fondamentali della vita e che
dia all’impegno nella società un posto importante, un’arte che, partendo dalla
difesa della natura e preconizzando un tempo in cui arte e vita siano
coincidenti, e nel quale sia possibile riconquistare l’incanto gioioso di
fronte alla bellezza e il mistero della vita sulla terra, sia capace di
compiere “operazioni ecologiche, spirituali, autenticamente umane”. A tal
proposito, sottolineando la necessità di una maggiore responsabilità sociale
dell’artista contemporaneo, in linea con le più avanzate concezioni
dell’Avanguardia, Teri, parla nei suoi scritti di “arte coinvolgente”, in modo
che il pubblico non sia solo spettatore e fruitore ma anche - insieme
all’artista - collaboratore e coprotagonista, e contemporaneamente, anticipando
alcune fondamentali novità estetiche attualmente operanti nel 3° millennio,
di “ridefinizione” o “riconversione dell’arte”.
Quanto al ruolo di operatrice culturale svolto, si dirà in
conclusione che Teri Volini e il Centro d’Arte e Cultura da lei diretto
(l’istituto, con l’intento di promuovere una cultura non conformista e superficiale,
organizza corsi, conferenze, letture poetiche, proiezioni, mostre di pittura e
di fotografia e altro) per favorire la pratica dei valori che attengono al
vivere civile e alla “sostenibilità” sociale e ambientale in ambito locale e
planetario, si sono fatti promotori di un’impresa morale e culturale definita
“Operare la pace”, il cui scopo e’ quello di attivare, insieme alla coscienza e
l’impegno per la Pace, il rispetto reciproco delle pratiche religiose e
culturali di tutti i popoli della terra.
L’intervista (che si sostanzia di preziose e reciproche
riflessioni sull’arte in un continuo pressante interscambio tra
l’intervistatore e l’intervistata) a me rilasciata dall’artista in occasione di
una sua mostra intitolata Rivelazione, allestita qualche anno fa (2004)
nella Cappella dei Celestini di Potenza, pur vedendo solo ora la luce, conserva
a parer mio un preciso valore di attualità, non fosse altro perché essa serve a
testimoniare dei cambiamenti avvenuti nella sua visione dell’arte così
sostanziali da farci pensare ad un’autentica svolta già in corso nell’arte di
Teri a quella data. Data l’entità e il significato delle realizzazioni che Teri
ha concretizzato negli ultimi 10 anni, per illustrare le quali sarebbe stato
forse necessario un discorso a parte, si è ritenuto di aggiornare l’intervista,
col consenso dell’intervistata, con l’inserimento di altri dati che
l’arricchiscono e la completano.
Intervista
M.F. Più che aspettarsi inizialmente una domanda da
parte dell’intervistatore, come solitamente accade in ogni intervista,
l’intervistata ha inteso subito ribaltare il procedimento del genere in
questione rivolgendomi essa stessa per prima provocatoriamente la seguente
domanda:
T.V. Non so se tu conosci tutte le opere che io ho
prodotto di recente e anche nel passato?
M.F. Devo riconoscere che la mia memoria che riguarda
la tua attività di pittrice si ferma a metà degli anni ’80, per cui devo
ammettere di avere un vuoto che per essere colmato richiede una breve
ricostruzione storica. Innanzitutto vorrei sapere quando è avvenuto il tuo
trasferimento a Milano?
T.V. In realtà non è avvenuto che io mi sia
propriamente trasferita in quella città, non si è trattato di un vero e proprio
trasferimento, ma come io la definisco, di una transumanza. Ho effettuato dei
passaggi cadenzati nel tempo anche per ragioni affettive dovuti alla presenza a
Potenza della mia anziana mamma che ora purtroppo non c’è più. Così ho
organizzato una vita “doppia”, con periodiche residenze in Basilicata e in
Lombardia, fermandomi alcuni mesi nell’una e poi nell’altra regione, con lunghi
periodi anche in altre regioni come il Lazio, la Toscana, il Molise e
soprattutto la Calabria, dove trascorrevo spesso i primi mesi autunnali per
attività di studio e riflessione. Ciò non toglie che soprattutto Milano,
consentendomi di avere uno sguardo più allargato sul mondo, è stata per me una
miniera di conoscenze umane e di esperienze artistico-lavorative che
inoltre hanno avuto dei riscontri molto positivi. Quel singolare
“pendolarismo” cui mi sono sottoposta per quattro lustri, e con grandi
sacrifici, è stato tuttavia per me vitale sia dal lato culturale - per i
potenti stimoli che la città offre – sia da quello relazionale. In seguito, a
metà degli anni ’90, ho deciso di risiedere a Milano e lavorarvi per diversi
mesi all’anno, in un mio studio personale e con un’esposizione permanente, senza però mai abbandonare i miei
luoghi di origine, le mie radici, la famiglia, gli amici…
M.F. Vorrei soffermarmi ancora su questo incontro con
la grande città di Milano. Non mancano esempi di artisti nostri che hanno
lasciato la loro terra di origine per ricercare altrove la loro fortuna.
L’elenco sarebbe lungo: basti pensare a nomi celebri come Sinisgalli, il quale
in qualche modo ha avuto a che fare con la pittura, se non proprio direttamente
ma certamente egli ha avuto certamente un rapporto storico con gli artisti
nella Milano degli anni ’30. Quest’ultima è sempre stata una città
all’avanguardia e di riferimento non solo per le arti e gli artisti ma anche
per gli scrittori meridionali, pensiamo ad esempio a Giuseppe Marotta, il quale
fu accolto anche lui nel cosiddetto “ricovero di via Rugabella”, dove molti
artisti del Sud hanno avuto modo di risiedere e confrontarsi. Sinisgalli,
Quasimodo, Cantatore oltre al già ricordato Marotta hanno indicato in Milano
una città fondamentale per avere un rapporto positivo e di modernità con le
arti.
T.V. In effetti gli anni ’30 sono gli anni in cui
l’Avanguardia in Italia ha avuto modo di vincere le ultime resistenze del
nostro provincialismo culturale, come giustamente sostiene la più avveduta
critica post-crociana. E’ noto a tutti che il filosofo napoletano ha
negato l’importanza dell’arte del ‘900 non riconoscendo il valore innovativo di
ciò che nelle arti è nato dopo Baudelaire e compagni. Per quel che si riferisce
alla mia personale esperienza in quella città, devo dire che io non ho
frequentato più di tanto gli ambienti “lucani” a Milano se non all’inizio rimanendo
inoltre oltremodo delusa. Preferisco piuttosto ricordare come quella città così
viva, potentemente energetica venisse incontro alla mia sete di esperire e
conoscere, di avere come ho già detto uno sguardo allargato sul mondo; esigenza
in me da sempre presente, che avevo già sperimentato in Francia ed in
particolare a Parigi, mia prima città di elezione, dove ho risieduto per i miei
studi linguistici effettuati alla Sorbona; soggiorno che però si è interrotto
troppo presto per la necessità di iniziare la carriera dell’insegnamento e di
farmi una famiglia.
M.F. Ma per tornare a noi, io devo riconoscere
di avere intorno allo sviluppo della tua arte un certo vuoto che mi auguro tu
riesca a colmare. Non intendo tuttavia chiamarti ad una lunga ricostruzione del
tuo iter trascorso che, mi rendo conto, sarebbe comunque per te abbastanza
faticosa, anche se una tale analisi retrospettiva potrebbe fornirci più
di un dato per indicare con chiarezza quale è stato l’itinerario artistico che
ti ha guidato fin qua, a quest’ultima mostra intitolata Rivelazione.
Prima di arrivare ad essa è necessario che tu sappia che la tua pittura mi ha
sempre attratto. E credo che ciò sia la dimostrazione del valore positivo di
ciò che tu sei abituata a fare.
T.V. Conoscendoti come uno che non sempre
si sbilancia in giudizi positivi sugli artisti questa tua affermazione vale per
me più di un riconoscimento di valore. Vorrei, pertanto, che tu mi facessi
conoscere in sintesi le tue considerazioni personali dopo esserti soffermato un
po’ sul significato essenziale della mia arte.
M.F. Per un critico non è sempre facile esprimere un
giudizio riassuntivo sul valore di un artista, vedrò tuttavia di farlo con la
tua arte. Risulta evidente che la tua espressione pittorica, anche se non ricorre
totalmente al figurativo, diciamo che si ferma a mezza strada in alcuni casi,
in quanto tu ogni tanto recuperi l’immagine associandola all’informale. E
questo procedimento rivela anche un fastidio nei riguardi dell’Avanguardia in
assoluto. Mi pare che a te piace in effetti coniugare un po’ la tradizione con
l’innovazione, non fosse altro per il tratto che esegui e la finezza dei
colori, anche se poi la tecnica è generalmente innovativa. In fondo tu sei
abituata a mescolare le tecniche. Anch’io sarei curioso di vedere il tuo lavoro
più da vicino, confesso che mi piacerebbe entrare nella tua officina per
scoprire come tu ti servi di queste tecniche mescolandole fra di loro.
T.V. Non sempre gli artisti, in particolare i
pittori, sono disposti a rivelare ad un osservatore qualsiasi i segreti tecnici
della loro arte di cui sono abbastanza gelosi, vedrò di fare un’eccezione con
te, ammettendoti nell’antro segreto del mio atelier, dove potrai vedere che non
solo di mescolare delle tecniche già sperimentate si tratta, ma piuttosto di
avere inventato e sperimentato un procedimento artistico del tutto originale.
Difatti una delle maggiori soddisfazioni che la mia pittura mi offre
è il suo essere riconosciuta immediatamente da chi abbia visto anche solo una
volta una mia mostra o un’opera singola, anche una sua riproduzione. E questo
grazie alla particolarità della tecnica da me utilizzata che – vorrei si
sapesse – non mi è stata insegnata da nessun maestro, né io ho frequentato
scuole artistiche specifiche. Ritengo piuttosto la mia abilità pittorica un
Dono naturale, o forse una lontana eredità avita, o se ti piace una qualità già
esperita in una vita precedente, ammesso che ciò sia possibile; in tutti i casi
sono comunque grato alla Musa che mi ha privilegiato.
M.F. Ti ringrazio per la tua gentilezza. Ma, a
parte ciò, mi pare opportuno a questo punto soprattutto sottolineare un fatto:
l’ottima disposizione che l’osservatore comune, anch’io mi pongo fra essi, ha
nei riguardi della tua pittura, che è un’arte che parla immediatamente al suo
fruitore, una maniera artistica che, anche quando potrebbe rivelare una certa
drammaticità interiore, fa pensare all’ottimismo, cioè ad una gioia di vivere
che si traduce in una resa pittorica nella quale tutti gli elementi sono
portati ad unità. E questo è musica. Questa disposizione all’armonia rivela
senza dubbio un animo romantico.
T.V. Questa tua osservazione è certamente
interessante. Mi piace inoltre una tale lettura della mia arte come ricerca
dell’ armonia che ha certamente anche un sostrato romantico. Sono stati i romantici
in particolare a sottolineare questa importanza della musica come “sovrarte
“, cioè come un’arte che le risolve tutte.
M.F. Tutto ciò mi induce a ritenere che quando
un’arte si avvicina alla musica è un’arte con la A maiuscola. Queste
considerazioni, che il più delle volte si fanno in generale per le espressioni
artistiche che si distinguono, ritengo si possano anche riferire alla tua
pittura: un’arte che non di rado è capace di ottenere risultati
molto elevati.
T.V.Ti ringrazio sinceramente per un apprezzamento
così lusinghiero della mia pittura. Ti confesso che prima d’ora non avrei mai
pensato ad un accostamento della mia pittura alla concezione romantica della
musica. In ogni caso il mio costante bisogno artistico di ricercare l’armonia
ha quasi certamente, come tu dici, una matrice romantica.
M.F. A questo punto debbo riconoscere di provare una
specie d’invidia per i pittori, come in un certo momento sostiene anche
Palazzeschi, sottolineando la differenza che c’è fra chi è dedito alle arti
belle e uno scrittore (anch’io modestamente, forse esagerando un po’, mi
annovero in questa schiera):gli scrittori hanno sempre invidiato un po’ i
pittori, non fosse altro perché gli scrittori lavorano al chiuso, diciamo nella
muffa del loro studio, mentre i pittori hanno modo di vivere frequentemente à
plein air, come dicono i francesi, per osservare la natura per poi
riprodurla.
T.V. A proposito di quest’ultima tua
considerazione, ti devo subito consolare dicendoti che il mio procedimento
pittorico non è quello di lavorare all’esterno, all’aria aperta, ma è costruito
su altre modalità in uno studio. In effetti, tutto quello che si può vedere nei
miei quadri apparentemente ha qualche riferimento col paesaggio, come in questo
che vedi dietro le tue spalle, dove è possibile notare allusioni molto precise
anche al panorama lucano, nel senso che vi sono contenute le ginestre, i
papaveri ed altri dati naturalistici che vengono ricoperti da un immenso cielo
stellato. In questi dipinti apparentemente naturalisti gli elementi non sono
stati ripresi con procedimenti riproduttivi di tipo fotografico, ma essi
riaffiorano filtrati dalla memoria, componendo dei “paesaggi dell’anima”. Devo
comunque ammettere che il mio amore per la natura, la sua frequentazione ed
esplorazione, l’ascolto dei suoi ritmi risultano basilari per la mia
ispirazione.
M.F. Vorrei, a tal proposito, far riferimento ai
dipinti che tu hai realizzato a metà degli anni ’80 che insistono sulla
rappresentazione delle Dolomiti lucane che, secondo me, hanno segnato un
importante momento nello sviluppo della tua arte.
T.V. certamente vuoi riferirti a “La Montagna
Stregata”, l’opera ufficiale che ha segnato l’inizio di un itinerario che è
durato a lungo. Devo dire che essa mi ha portato a prendere consapevolezza del
potere che la pittura, quindi l’immagine e il colore, possono avere nel
comunicare in sostanza i ricordi dell’artista, le sue sensazioni, i sentimenti.
Comunque tali cose rianimandosi sulla tela si traducono in una riscoperta che
non è mai semplicemente riproduttiva. A questo proposito, c’è da dire inoltre
che oggi anche la stessa fotografia non riproduce più semplicemente la realtà,
ma la reinterpreta, quindi immaginiamoci la pittura. Pertanto la mia
rappresentazione della realtà non è una figurazione assolutamente mimetica e
realistica, ma io quando dipingo riprendo i miei ricordi, recupero quello che è
stato il mio rapporto con la natura, in questo caso per esempio con la
“Montagna stregata” che è da me rivissuta anche attraverso i sogni.
Pertanto, potrei dire che si instaura tra me e gli oggetti del mio ricordo un
rapporto profondamente onirico che nella mia pittura si comunica spiegabilmente
con tanta forza.
M.F. Non a sproposito tu richiami il recupero del
paesaggio naturale, in quanto sei nata a Castelmezzano, per cui la presenza
della montagna, e non solo di essa, si collegano in virtù della tua
capacità di recuperare attraverso la memoria, io dico una memoria lirica, delle
immagini che poi raffiguri nei tuoi quadri, talvolta anche senza un intervento
cosciente. Quasi esse si lasciassero trasportare nel quadro da te in maniera
subliminale, come se tu fossi il tramite con cui una realtà invisibile si
manifesta nelle tue opere. Questa è una ragione in più per pensare che la tua
pittura sia il prodotto di una forma di sinestesia, cioè di mescolanza delle
arti. Se abbiamo precedentemente ricordato la musica, a questo punto occorre
anche richiamare la poesia, la quale quando è lirica è fatta di ricordi, di una
ripresa di motivi che rampollano quando scattano certi meccanismi psichici come
quelli che accadono in occasione del ritorno.
T.V. In effetti io sono abituata a vivere in due
realtà, in quella cittadina un po’ come paysanne inurbata, ma
frequentemente sento anche il bisogno di ritornare nel paese che mi dato i
natali. E’ questa una situazione che nella nostra storia di provincia si è
spesso ripetuta: da Orazio a Sinisgalli l’intellettuale lucano ha sempre avuto
bisogno dell’incontro con la grande città per allargare i suoi orizzonti e per
maturare anche artisticamente. Senza voler eguagliare la mia condizione alla
situazione di questi grandi, devo dire tuttavia che questa mia arte di cui tu
parli, che non è comunque la più recente, è certamente legata al lirismo e al
recupero memoriale che è innanzitutto un procedimento adottato dai poeti.
M.F. Probabilmente anche per questo in uno dei tuoi
quadri qui esposti, proponendo una sinergia tra la pittura e la poesia, ti
preoccupi di richiamare l’opera di Leonardo Sinisgalli?
T.V. E’ così. Il quadro da te indicato (E Mizar si
sdoppia) ha proprio come sua nota distintiva un verso di Sinisgalli che così
recita:”ricordo un gregge lontanissimo che bruca sui monti della luna”.Vega
scoppia come un braciere al vento/e Mizar si sdoppia”, dove il poeta nomina
effettivamente la stella doppia, l’astro di Sirio come luogo dei suoi ricordi
di infanzia. Io sono molto vicina a queste cose. Come del resto potrebbe essere
diversamente. L’arte non si può limitare all’imposizione sulla tela di un
pennello che mette giù solo delle figure, ma si compone di tutto un mondo che
almeno inizialmente è quello che appartiene all’artista, compresa la poesia che
certamente nutre ogni aspetto della nostra vita e tutte le modalità con cui
esprimiamo i contenuti dell’arte.
M.F. Quando hai avuto l’occasione di incontrare
Sinisgalli e in quale luogo?
T.V.In occasione di una mia mostra presentata a
Milano nel ’90 mi fu chiesto tra le altre cose di realizzare un evento di alto
profilo, qualcosa di complesso che avesse a che fare con l’opera del poeta
nostro conterraneo. Furono i curatori di un importante centro culturale a
chiedermi di creare una sinergia tra le mie opere e la poesia. Così – con
l’ardore che mi contraddistingue quando faccio ciò che amo - mi dedicai ad una
profonda lettura delle poesie di Sinisgalli.Dopo un’attenta ricerca
decisi di utilizzare, come ho già detto, anche i suoi versi quale cifra
significativa del quadro sopra indicato. In occasione di quella mostra, che io
ho ripetuto anche all’estero, c’è stato qualche commentatore interno che ha
sottolineato sia il legame con la letteratura (la stessa Prefazione faceva
riferimento alla capacità di leggere attraverso la letteratura il reticolato
dei ricordi) sia una certa spontaneità riscontrabile nei miei quadri.
M.F. Si è parlato giustamente, se ricordo bene, di
una duplice dimensione della tua arte, da una parte abbastanza naturale e
spontanea, quasi naif, ma anche molto originale, d’altra si è insistito sulla
tua disponibilità a cogliere dei collegamenti con altre forme pittoriche
certamente celebri, come ad esempio l’arte post-impressionista, particolarmente
Van Gogh come iniziatore di una maniera artistica nuova. Poi le tue
sperimentazioni sono andate innanzi fino ad incontrare certi atteggiamenti del
linguaggio espressionista, soprattutto germanico, anche se con decise
differenze: l’Espressionismo tedesco rivela un’energia che è tipica di
quell’ethos, mentre la tua pittura anche nel caso in cui riprende questi
modelli di arte nuova conserva il tocco leggero e la sensibilità che, a mio
modo di vedere, è tipicamente femminile.
Volto di donna da “Il Colore delle donne”
T.V. Un tempo probabilmente mi avrebbe dato molto
fastidio questo riferimento al femminile, in quanto in realtà mi faceva
evidenziare una certa disistima della nostra cultura ancora di tipo patriarcale
nei riguardi della donna, soprattutto nell’arte, un campo di cui gli uomini
avevano a lungo tenuta l’esclusiva. Questo ha fatto si che fosse sminuito
culturalmente tutto ciò che era proprio della donna, e, in ambito artistico di
relegarlo nel campo del dilettantismo. Per molto tempo nella storia le donne
artiste sono state rare e appena tollerate, a tal punto che, pur in presenza di
evidenti possibilità creative di esse, si attuavano sistemi discriminatori di
ogni tipo, tra cui distinzioni tra arte al maschile e arte al femminile, come
se ciò potesse essere possibile. L’arte è arte e ciò che si può sottolineare è
semmai una sensibilità più definita in consonanza con lo stesso carattere
femminile. Oggi la situazione sembra essere diversa, ma sono ancora tanti i tentativi
più o meno evidenti di sminuire tale preziosa sensibilità; solo che sono
maliziosamente più sottili e si dirigono come frecce verso quelle donne che non
si adeguano alla cultura ufficiale. Un tempo io stessa, formatami in una
cultura un po’ troppo segnata dal “maschile”, sebbene scalpitante, prima di
comprendere tutto ciò mi definivo “artista pittore”, per timore forse di essere
in qualche modo svalutata come portatrice di una sensibilità al femminile.
M.F. Questo tuo atteggiamento che sostanzialmente ti
poneva in difensiva di fronte al rischio di svalutazione della tua arte che
poteva derivare da una cultura che tu definisci “tutta al maschile” permane
ancora, o con gli anni ha lasciato il posto a nuove sicurezze?
T.V. Oggi con la maturità, col tempo che man
mano avanza riconosco, invece, un valore positivo in questa sensibilità
tipicamente femminile che tu riconosci come una componente non secondaria nella
mia arte. Io arrivavo, come ti ho detto, a definirmi al maschile “pittore”, in
quanto al di là del genere volevo essere considerata solo un artista e non una
donna; mentre ora colgo in positivo la tua nota e la valuto un complimento in
quanto è cresciuta in me la stima nei riguardi del valore del femminile. A
condizione, tuttavia, che non si generi l’equivoco che le due condizioni siano
separate: l’arte maschile da una parte e quella femminile dall’altra. Esclusa
tale eventualità, non solo accetto come valida questa tua valutazione, ma
ritengo di darle un valore aggiunto in quanto dimostra che nel mio cammino
artistico non mi sono adeguata a dei modelli culturali, compiacendo i quali
avrei avuto maggiori possibilità di riconoscimento, ma ho tenuta ferma la mia
possibilità di ricercare l’armonia che mi veniva dal profondo.
M.F. Mi pare di aver capito che tu, pur accogliendo
alcune suggestioni esterne, hai cercato fondamentalmente di procedere anche
nella originalità raccogliendo gli impulsi che questa dea ispiratrice
dell’armonia ti concedeva. E siccome in ogni artista esiste una modalità
espressiva che non si ritrova facilmente in altri anche tu hai avuto una
cifra stilistica tutta tua, che non derivando da altri, qualifica innanzitutto
la tua arte: una disposizione lirico-poetica che potrebbe far pensare a Saffo.
Ma voglio subito chiarire che quest’ultimo accostamento viene da me suggerito
non tanto per sottolineare il dato del femminismo per specularvi sopra, né
tantomeno per sottolineare il diritto del maschio nella storia, ma per
riconoscere la tua capacità di osservare la natura, di cogliere gli aspetti
della realtà, di recuperarli liricamente a distanza facendoli divenire poi
oggetto di una rappresentazione. Un tale procedimento, cioè la capacità lirica
di recuperare i dati memoriali nel tentativo di armonizzarli, secondo quel
concetto dell’armonia musicale di cui abbiamo già parlato.
T.V. Ritengo valida questa tua considerazione, in
quanto dimostra che nel mio cammino artistico non mi sono adeguata a dei
modelli culturali predefiniti, accettando i quali avrei avuto probabilmente
maggiori possibilità di successo – come accade ahimè in molti casi di donne
artiste compiacenti il sistema - ma ho tenuta ferma la possibilità di ricercare
e contattare ciò che mi veniva dal profondo. Pertanto, mi sento perfettamente
in linea con quella sensibilità romantica che tu acutamente mi riconosci, per
quanto essa possa sembrare fuori moda in un tempo in cui prevale un
iper-razionalismo intellettualistico che spesso confina con l’assurdo. Ciò
significa che per quanto il Romanticismo sia ormai finito esso sopravvive
ancore nella nostra anima. Tuttavia noi siamo figli di un’altra età. Oggi si
parla di “villaggio globale”, Mc Luhan ha coniato tale espressione col
proposito di indicare l’età post industriale che con l’allargamento dei confini
all’infinito ha segnato la perdita di molte certezze.
M.F. Non c’è dubbio. Pur vivendo noi nell’età post
moderna che dimostra di non credere nei valori del ‘900, mi sembra però più
giusto situare la tua arte nella dimensione culturale del XX secolo, l’età alla
quale sentiamo di appartenere maggiormente. Pertanto, senza escludere o
superare il fatto lirico di eredità romantica vorrei cogliere nella tua pittura
un aspetto di più recente modernità, per chiarire come avviene la lettura del
mondo da parte di un artista legato al ‘900, che non si ferma solo al recupero
memoriale degli oggetti ma assegna ad essi un valore simbolico. Ci soccorre per
questo lo studio della vicenda di Sinisgalli il quale si preoccupava di dare un
significato che andava oltre il segno agli oggetti poetici per andare alla
ricerca dell’assoluto attraverso la rappresentazione letteraria delle sue
memorie: la terra madre, il padre, la madre, l’infanzia, il paese.
Dando per
certo che ciò si verifica anche nella tua arte, data la premessa, vorrei sapere
da te se questa ricerca del significato è un fatto voluto, o la tua pittura fa
pensare ad un simbolismo anche di difficile decifrazione?
T.V. Gli stimoli che mi stai
dando aiutano anche me a sintetizzare, a ricordare e riconoscere che noi
abbiamo nella vita sempre un percorso a spirale. Ritornare indietro, come noi
stiamo facendo, è per me molto importante in quanto posso recuperare tutte
quelle sensazioni, memorie, suggestioni che magari ho trascurato nel passato.
Per questo ti sono grata per il viaggio che mi stai facendo fare un po’ a
ritroso. Anche se non è propriamente agevole rispondere con semplicità a tutte
le questioni che mi stai ponendo, vorrei comunque dire qualcosa che, per quanto
non propriamente collegato a quanto tu mi chiedi, tuttavia mi offra la
possibilità di rispondere meglio alle tue domande.
M.F. Ti concedo questa diversione a condizione che
non ci porti molto lontano dal tema centrale del nostro
discorso.
T.V. Se c’è una cosa che io riconosco nella mia
opera (mi metto al di fuori come spettatrice e senza attivare la falsa modestia
che molte volte non ci fa arrivare alla comprensione delle cose) è proprio
questa capacità che tu attribuivi a Sinisgalli di rispettare assolutamente
tutto quello che concerne la sfera personale: mi riferisco innanzitutto a certe
immagini che hanno a che fare con la memoria delle proprie origini.
Tutto
questo è presente interamente anche nella mia pittura: ci sono i ricordi di
quando avevo tre - quattro anni allorché giocavo con la creta costruendo delle
figurine, ci sono le ombre dell’albero attraverso le cui foglie passa il sole
che io ho trasposto interamente in un mio dipinto.
Però, nello stesso tempo, e
questo non l’ho detto solo io ma lo hanno espresso per iscritto osservatori di
diverse regioni del mondo (certamente c’è da fidarsi quando certe cose non te
le dicono solo i tuoi amici ed estimatori ma anche visitatori di altri paesi e
culture che le esprimono con sincerità nella loro lingua) che tutto ciò
che essi leggevano nei miei quadri apparteneva anche al loro mondo, nel senso
che alcuni aspetti presenti sulla tela attivavano il ricordo della loro
infanzia: alcune luci ad esempio ricordavano loro il periodo che essi
avevano vissuto nell’adolescenza, come se io avessi recuperato non solo la mia
infanzia ma anche la loro, riattivando un archetipo di essa potentissimo ed
universale.
Pertanto la mia montagna cessava di essere solo quella di
Castelmezzano ma diveniva, posso dirlo con gioia, la montagna del mondo senza
più un nome, che poteva agevolmente riferirsi tanto ad un irlandese quanto ad
un americano. Queste cose, mi riferisco ancora alla Montagna Stregata, sono
state le conferme più autentiche, equiparabili per importanza ai giudizi
critici favorevoli che ho ricevuto, questi sono i risultati che mi hanno
consentito faticosamente di andare avanti con gioia.
M.F. Visto che me ne fornisci l’occasione, vorrei ora
sottolineare la presenza del sogno, la dimensione onirica che certamente è una
componente importante della tua pittura. Innanzitutto c’è da dire a questo
proposito, se ho ben capito, che il tuo sogno non è quello di Freud in quanto
rivelazione delle fratture dell’anima, ma che induce al recupero di certi
aspetti comunque positivi della nostra esistenza comuni a tutta l’umanità, alla
quale oltre al sogno appartiene anche una dimensione che le è molto vicina,
quella del magico. Vogliamo parlarne?
T.V. Io spesso faccio riferimento a questo aspetto
misterioso che compare moltissimo nei miei quadri, nei quali molte volte ci
sono immagini, che io non ho disegnato, ma, come trasportate dall’artista,
vengono fuori dalle ombre o dall’incontro chiaroscurale dei colori. Pertanto,
senza che io pensi di essere un tramite occulto ed esoterico, una naturale
magia è presente in questo mio sentire non fosse altro perché fa parte della
mia cultura. La nostra è una terra che forse rinnega un po’ troppo l’aspetto
magico ed esoterico che invece fa parte della sua tradizione come anche delle
popolazioni più antiche del mondo. Forse per questo esso si trova anche
nelle mie tele, come se io tirassi fuori tutto un mondo popolato di antiche
creature fantastiche ed archetipiche, di folletti, gnomi e fate, un mondo che,
pur strutturandosi nei ricordi, nei racconti e nelle favole da me ascoltati
nelle sere d’estate durante la mia infanzia è anche un
patrimonio comune ad altre culture.
M.F. Quanto tu dici mi fa pensare agli anni ’50, a Sud
e magia di De Martino o anche a tutto ciò che è nato in seguito
all’influenza di Carlo Levi in Lucania. Quel filone di realismo che parte di lì
è secondo me un fenomeno un po’ in ritardo rispetto al Neorealismo, per cui
anche l’arte di Scotellaro, che ha costituito com’è noto un caso letterario in
questo periodo, oggi a distanza di anni viene rimessa in discussione. Pertanto,
quando tu parli di recupero di motivi magici, che come è noto si trovano
elencati nei diari di De Martino, ma che sono anche presenti in tutta la nostra
pittura di influenza leviana, fai riferimento forse senza volerlo a tutta una
materia di studi dei quali nessuno nega l’importanza. C’è però da dire che il
levismo ha fatto bene alla Lucania, ma ha fatto anche tanto male, in
particolare alle arti con la sua disposizione troppo analitica dei fatti della
realtà.
T.V. Pur conoscendola molto bene, sono convinta di
essermi tenuta abbastanza lontana da questa linea non fosse altro perché
attraverso una ricerca tipicamente personale e soggettiva mi sono preoccupata
di recuperare una propensione al magico che non ha nulla a che fare con
un certo etnos, ma che ha al contrario una dimensione universale. E’ questa una
disposizione sovratemporale e trans-spaziale che si manifesta nelle mie opere
come si può evincere dalla raffigurazione delle fate che fanno capolino
nei miei quadri che, come ho detto, potrebbero essere benissimo delle creature
magiche della Lituania, piuttosto che delle fate celtiche, o forse immagini
ancestrali che appartengono ai miei cari. Posso affermare questo, perché,
ad esempio, in uno dei quadri a me più cari, “Prima del risveglio”, esposto a
Pré saint Dider e acquistato da un estimatore di Roma lì in vacanza, appare un
volto, mimetizzato nel tendaggio della stanza … Ma questo me lo comunicò,
tempo dopo, quella persona, un medico psicoanalista, che aveva fatto dell’opera
l’oggetto di lunghe osservazioni, una volta appeso sulla parete di casa
sua...Scoprii così, dopo anni dalla realizzazione, che nel quadro c’era il
volto di mio padre. http://www.terivolini.it/html/opere.htm
M.F. Veniamo con un salto spaziale alla tua ultima
esperienza di una ricerca che si serve di forme che oggi sono ritenute
artisticamente valide, come ad esempio quella della fotografia che, in ogni
caso, molti in passato hanno combattuto come un oggetto tipico nel mondo della
riproducibilità. I “veri” pittori, hanno sostenuto alcuni critici, non
dovrebbero accettare mai l’immagine fotografica come oggetto estetico. Mentre
tu a questo punto hai fatto una scelta anche coraggiosa, non voltando le spalle
alla pittura (me lo voglio augurare, questo sarebbe secondo me un tradimento e
l’interruzione di un’esperienza artistica che per i suoi risultati è certamente
degna di nota) ma effettuando di recente una sperimentazione che è rivolta a
forme di arte un po’ diverse dalla pittura col proposito di realizzare – come
nel caso di Rivelazione - una ricerca che dal punto di vista
intellettuale si propone di trovare un’analogia tra diverse culture, servendosi
nel caso specifico di un tòpos, cioè di un’immagine segno che è il velo.
T.V. Ti dirò innanzitutto che non ho un’assoluta
intenzione di mettere completamente da parte le mie precedenti esperienze
artistiche, che del resto mi hanno procurato concreti riconoscimenti sia in
Italia che all’estero. Non posso tuttavia negare di trovarmi a questo punto in
un momento nodale del mio percorso artistico che costituisce anche un passaggio
che secondo me ha un significato così importante che merita di essere
attentamente spiegato, come dimostra il discorso di apertura della mia
personale.
M.F. Ho assistito alla presentazione della tua mostra
“Ri Vel Azione”, nella quale – oltre a presentare il tuo percorso performativo,
illustrando la tua personale concezione del Velo - tu sottolineavi un dato,
cioè il fatto che l’arte ha cessato di essere un oggetto fermo assumendo di
conseguenza un carattere dinamico. Tutto ciò mi fa pensare innanzitutto al
padre dei futuristi, Marinetti che - come si può leggere nei suoi manifesti -
fa una guerra senza quartiere all’arte tradizionale: tutto quello che è
arte e che storicamente si è anche costituito come tale meriterebbe di essere
abbattuto. Parlando di Venezia, egli arriva a definirla “il più grande museo
del mondo”, ma anche “la più vecchia ruffiana della storia” che
meriterebbe per questo di essere distrutta per edificare una nuova e moderna
città. Questa idea forte dell’arte che si costituisce come oggetto prorompente
in movimento, che rinuncia alla sua costituzione statica ponendosi come
dinamismo perenne, io personalmente la vedo più come una provocazione che un
autentico manifesto estetico. Secondo me l’artista deve pur sempre riuscire a
fermare l’oggetto che ha creato. Vorrei avere da te qualche spiegazione a
proposito.
La Ragnatela
T.V. Voglio premettere che io ho incontrato
immediatamente il padre del Futurismo nella ricerca che ho fatto per allestire
questa mostra di Rivelazione. Nella Presentazione Marinetti viene molto citato,
in particolare quando parla dell’arte come poesia; ma intanto per lui la poesia
non è solo scrivere versi stando a tavolino osservando le regole ma è al
contrario azione, anzi è l’atto poetico in sé che prorompendo si rivela come
tale nel momento stesso della libera creazione artistica [1]
Non posso negare di essere molto vicina a questa concezione dirompente
dell’arte, che le permette di essere fattore ristrutturante della società, cosa
di cui quest’ultima ha estremo bisogno soprattutto oggi. Nel caso particolare
di RiVelazione, quando io camminavo per strada indossando il velo ed asserendo
contemporaneamente di essere io stessa l’opera d’arte, l’azione simbolica [2]realizzata
non era una trovata, né un pretesto escogitato per stupire, né per mettermi in
mostra: era al contrario un atto autentico, un vero Atto Poetico. Tuttavia,
come anche tu giustamente dicevi, non conviene essere così radicali come
Marinetti, in quanto io stessa, pur sottolineando nella fase iniziale della
creazione il movimento, nella fase successiva, che è quella della
documentazione di ciò che ho realizzato, mi servo di mezzi che io ritengo più
opportuni, come ad esempio foto, video e reportage per poter comunicare
l’epifania della mia arte anche a coloro che non hanno potuto assistere
all’azione simbolica come io la chiamo, alla performance come più normalmente
viene definita, con cui mi preoccupo di fermare in qualche modo l’atto poetico
per non renderlo assolutamente evanescente.
M.F. Tutto questo mi fa pensare anche all’art nouveau
dei giorni nostri che procedendo controcorrente va alla ricerca di nuovi mezzi
e strumenti espressivi che poco sembrano avere a che fare con il concetto
tradizionale della creazione estetica.
T.V. E’ solo così in apparenza, in realtà i
differenti linguaggi sono solo la forma esterna di una comunicazione attiva che
l’artista intende attuare. L’importante è che ci sia coerenza. Nel caso delle
mie opere, si deve solo prendere visione di una loro successione “panoramica”
per riconoscere che essa esiste, ed è – a mio avviso – assoluta: una coerenza
non superficiale ma sotterranea, globale, che si traduce in continuità
artistica. Una volta compresa ed accettata questa chiave di lettura,
l’osservatore potrà comprendere che tutte le opere sono fra di loro collegate
da un filo rosso che corrisponde a dei precisi valori ed ideali in cui io
credo, per difendere i quali viene utilizzato un nuovo e possente linguaggio.
Ti assicuro che l’arte non ne viene sminuita, anzi acquista in nobiltà e
qualità. Qui potrei solo accennare alle opere che ho realizzate sia ante che
post litteram – secondo tale visione - e all’evoluzione del mio pensiero in
proposito, ma per illustrarle ci vorrebbe, caro Marino, un’altra intervista.
M.F. Per quanto mi riguarda
essendo io abituato ad un’arte (mi riferisco alla tua precedente, che senza
timore di essere smentito definirei classica per la scelta dei colori, per la
loro armonizzazione, per la capacità di comunicare artisticamente ciò che tu senti)
che ha sempre costituito per me un grande fascino ed interesse ora vorrei
sentire da te se la presente sperimentazione vale solo per sé o ha il
significato di una svolta che prepara a diverse rappresentazioni. Mi piacerebbe
sentire direttamente dalla tua voce se tu ti aspetti da essa nuovi risultati
oppure ti trovi nel pelago di una ricerca che non è ancora in grado di
individuare a questo punto le prospettive di una concreta riuscita.
T.V. Premetto che nella fase attuale la mia
creatività è veramente molto intensa. Io stessa rivolgendomi a quella che
definisco la mia dea ispiratrice non manco di esprimerle ogni giorno la mia
gratitudine perché non cessa di farmi sentire la sua presenza, anzi gli stimoli
che da essa mi vengono sono veramente intensi e grandi. In questi giorni la mia
sensibilità, la creatività, il mio stesso intelletto sono sempre in movimento e
di conseguenza anche il mio percorso artistico segue una naturale parabola
evolutiva che è necessario abbia il suo corso. Giustamente sostiene Iodorowsky:”
Chi non ha acquisito la capacità di trovare non conosce quel fiotto spontaneo
che scaturisce dal profondo; ma chi è in contatto con la propria fonte creativa
la lascia fluire, semplicemente”.
Non è escluso che questa abbondanza di
ispirazione potrebbe creare, come tu dici, dei problemi di dispersività se io
non avessi in mano quel filo rosso che, come nel caso di Arianna, mi aiuta a
fare delle scelte guidandomi durante il mio difficile e complesso cammino
estetico. Analizzando razionalmente il percorso fatto io mi sono chiesta
più di una volta se le cose che man mano stavo facendo potevano essere una
distrazione oppure c’era in esse un senso logico e una consequenzialità.
La mia
risposta a questa domanda è stata positiva. Volendo a questo punto ricercare
una spiegazione a proposito di un bilancio così favorevole la trovo nel fatto
che non ho mai fatto getto del mio passato artistico, malgrado l’apertura verso
nuove sperimentazioni.
M.F. Per rendere più chiara la tua affermazione
sarebbe opportuno che tu aggiunga qualche dato in più per spiegarla.
T.V. Voglio dire che tutto quel
mondo, che io mi sono sforzata di esprimere nelle mie precedenti opere
pittoriche: la ricerca di armonia, il bisogno di comunicazione, non solo
intellettuale ma anche molto complessa, come abbiamo detto prima dei ricordi,
dei sogni, dei simboli, tutti gli archetipi che affollavano la mia mente non
sono affatto spariti, anzi sono sempre attuali è presenti; con l’unica
differenza che questa volta l’artista, invece di usare il pennello per
rappresentare in maniera classica tutte queste forme e l’intero suo universo si
serve ora di altre modalità per esprimerli. Io sinceramente non mi sento molto
lontana da un mio quadro nel fare una ragnatela fra due montagne, l’unica distinzione
con il passato consiste nel fatto che invece di rappresentare quest’immagine
sulla tela lo faccio nel cielo in modo tale che l’opera abbia come sfondo non
un quadro ma l’universo intero.
M.F. Mi risulta che anche quelli che sono
particolarmente affezionati a quella che si potrebbe definire la tua “prima
maniera” artistica non sono disposti a condividere né ad intendere – forse
perché non sono intellettualmente attrezzati - i cambiamenti così radicali che
sono avvenuti nella tua concezione artistica.
T.V. I più “puristi” tra i miei estimatori
dovrebbero notare ed apprezzare il salto di qualità che caratterizza il mio
lavoro in generale, cioè un passaggio da un intento in definitiva egocentrico
(dipingere, vendere la opere, avere fama, successo etc.) e – rinunciando o
comunque ridimensionando tutto questo “modello normale” - elevarsi ad una
forma d’arte “superiore , con un intento ultra personam, attento alla comune
evoluzione, un concetto di portata amplissima, in cui l’artista diventi
strumento di un cambiamento planetario. E mi auguro che come me ci siano tanti
altri a farlo, visto lo stato miserando in cui versa il pianeta con l’attuale
assetto sociale e culturale. Mi auguro che a seguito di queste riflessioni
chiarificatrici e sentite, i miei estimatori capiscano la bellezza e il valore
di questo impegno, che porta a ciò che io definisco “La Pacificazione con la
Terra e con l’Umanità. Puoi ora intravvedere in cosa consista questo passaggio;
esso è un percorso oltremodo complesso, in cui è evidente il collegamento tra
le opere pittoriche e le successive opere performative e installazioni.
M.F. Ti confesso che una tale concezione artistica,
che si propone di ottenere grandi risultati con l’allestimento di una
vistosa rappresentazione sul modello della performance, da un lato mi
incuriosisce e potrebbe anche attrarmi con le sue novità, dall’altro temo
potrebbe suscitare in me qualche timore dandomi l’impressione di una sua
inevitabile precarietà. Un tale stato d’animo di insufficienza si avverte anche
nei riguardi del Futurismo, malgrado gli effetti di rottura che questa
avanguardia è riuscita a promuovere soprattutto nel mondo dell’arte. Non nego
l’importanza di questo movimento per i risvolti che ha avuto ai fini della
dissoluzione della forma e per le aperture suggerite da Marinetti e compagni,
molto delle quali risultano ancora oggi un lezione insostituibile. Temo,
tuttavia, che l’idea centrale dei futuristi dell’arte che si riduce alla sua
stessa immediata rappresentazione possa anche essere transeunte: l’artista con
il proposito di fermare l’atto della creazione potrebbe nello stesso tempo
creare e distruggere ciò che egli stesso in quel momento ha fatto. Non saprei
come definire meglio questo atteggiamento degli artisti se non con la volontà
di sottolineare la loro divinità.
T.V. Vuoi dire forse che essi siano dei
megalomani?
M.F. Non propriamente. E’ innegabile, però, che i
poeti si definivano essi stessi vati, in quanto avevano in qualche modo a che
fare con la religione, visto che gli dei entravano molto spesso dentro di loro.
L’artista si è sempre ritenuto un po’ come uno dei figli del sole, lo dice
Sinisgalli, degli esseri eccezionali al di fuori del gregge comune. Un tale
atteggiamento, secondo me, che alcuni vedono come prosopopea poco si coniuga con
la disposizione inevitabile a non permanere nella storia. Questo giustifica il
fatto che essi molto spesso dicono di volersi eternare con l’arte. A questo
punto vorrei chiedere a te se tu sei soddisfatta di tutto quello che hai fatto
e fai, non solo dal punto di visto artistico ma anche economicamente. Io credo
che molti artisti, sia quelli della storia passata sia quelli bravi come te,
hanno vissuto questa contraddizione tra l’atto della creazione poetica e la
necessità di dover in qualche modo mercificare la propria arte. Vorrei sapere
se tu hai vissuto o vivi anche questo problema?
T.V. Sicuramente si. Tu sai che comunque i miei
quadri piacciono, ed hanno anche un valore economico
E’ singolare , tuttavia, proprio nel momento in cui io avrei potuto approfittare della mia notorietà e di tutto quello che mi sarebbe servito per realizzarmi anche dal punto di vista di un certo potere economico, è successo questo cambiamento di cui stiamo parlando. Io sono andata innanzi ipotizzando una forma d’arte per la quale io più che altro spendo piuttosto che guadagnare. Ciononostante sono soddisfatta di ciò che sto facendo. In ogni caso, dal momento che a nessuno piace andare in rovina mi auguro di trovare un mecenate o uno sponsor che mi aiuti a sostenere le spese di gestione delle mie mostre che sono lievitate oltre misura. Debbo dire, però, che nemmeno le Istituzioni mi vengono incontro, anzi mi ignorano, fino al punto di negarmi un contributo per stampare il catalogo completo delle mie opere. Ma non mi importa. Questo è l’ulteriore prezzo che sono chiamata a pagare. Tuttavia io non mi sento disperata come le persone qualsiasi quando si trovano ad aver speso, tanto per ipotizzare una cifra, centomila euro invece di averli guadagnati.
E’ singolare , tuttavia, proprio nel momento in cui io avrei potuto approfittare della mia notorietà e di tutto quello che mi sarebbe servito per realizzarmi anche dal punto di vista di un certo potere economico, è successo questo cambiamento di cui stiamo parlando. Io sono andata innanzi ipotizzando una forma d’arte per la quale io più che altro spendo piuttosto che guadagnare. Ciononostante sono soddisfatta di ciò che sto facendo. In ogni caso, dal momento che a nessuno piace andare in rovina mi auguro di trovare un mecenate o uno sponsor che mi aiuti a sostenere le spese di gestione delle mie mostre che sono lievitate oltre misura. Debbo dire, però, che nemmeno le Istituzioni mi vengono incontro, anzi mi ignorano, fino al punto di negarmi un contributo per stampare il catalogo completo delle mie opere. Ma non mi importa. Questo è l’ulteriore prezzo che sono chiamata a pagare. Tuttavia io non mi sento disperata come le persone qualsiasi quando si trovano ad aver speso, tanto per ipotizzare una cifra, centomila euro invece di averli guadagnati.
M.F. Questa tua scelta io la vedo innanzitutto come
un approdo intellettuale un bisogno interiore che diventa anche rinuncia in
virtù di una ricerca effettuata innanzitutto per poter soddisfare lo spirito. E
questo è secondo me qualcosa di estremamente coraggioso.
T.V. Lo devo ammettere. Questo mi consente inoltre
di ritrovarmi in una condizione di fierezza che deriva dalla soddisfazione di
avere operato delle scelte che forse altri non avrebbero fatto. Devo ammettere,
tuttavia, che talvolta il mio lato razionale mi rimprovera dicendo
giustamente: ma che cosa stai facendo, ti rischi di andare in rovina, dove
andrai a finire con queste tue strane idee? In effetti io sto spendendo tutti i
soldi che ho guadagnato con la vendita dei miei quadri in questa maniera:
facendo cioè ragnatele fra le montagne, nastri rossi sui coni vulcanici e
un’altra serie di opere che già attendono di essere realizzate. La forza,
l’energia, la categoricità con cui queste opere mi si presentano mi impediscono
tuttavia di fare altrimenti. Io talvolta dico scherzando, ma forse non troppo,
che questo nastro rosso è diventato il mio custode e padrone, nel senso che non
sono più io che in modo autonomo gestisco questa mia invenzione creativa nelle
sua varie trasformazioni, mentre rappresento gli archetipi o altri oggetti
simbolo, ma è lui che mi ordina di fare ciò che poi intende dimostrare. Allora,
un po’ per scherzo un po’ no, mi rimane la convinzione di avere
esclusivamente il compito di seguire la sue direttive.
M.F. Certamente tutto ciò rivela, starei per dire,
una certa instabilità, che comunque è tipica di un grande artista, il quale
generalmente non è disposto a fermarsi ad un dato definitivo ma, seguendo il
suo temperamento, concepisce l’attività artistica e intellettuale come ricerca
inesausta da cui si attende poi di ottenere diversi ed importanti risultati.
Sono certo che dopo questa parentesi sicuramente la tua arte conoscerà
altri approdi che senza dubbio ti offriranno quelle soddisfazioni che meriti.
( p.s L'Intervista è stata realizzata nel 2004)
[1] T. Marinetti:La
poesia non rispetta un ordine rigido del mondo….la poesia è convulsione, come
un terremoto….Denuncia le apparenze, smaschera le falsità e mette in
discussione ogni convenzionalismo” (cfr. La poesia è azione, cit.,
da Iodorowsky, Psicomagia, UEF, pp.24 e28)
[2] In seguito l’artista
ha espresso anche concettualmente tale azione simbolica come Body art,
cioè utilizzare il proprio corpo come strumento espressivo, creando un’opera
d’arte che vive, respira, parla e si muove.
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